di Gabriele D’Annunzio
E il grappolo più grande
colsi avidamente,
che pesava d’ambrosia
come la mammella
ineffabile d’una dea
data all’adolescente
per gioire e morir quivi.
Gli acini eran vivi
d’inesausto calore
alle mie dita di gelo.
Sentii ne’ precordi l’odore
del pampino lacerato
come d’un velo
arcano che si fendesse.
O Vita, quel parvemi il primo
e l’ultimo tuo dono,
e che i miei giovini denti
mai polpa d’opimo
frutto avesser mosso
né mai bevuto agreste
sorso le mie labbra sanguigne.
L’odore di tutte le vigne
sentii ne’precordi capaci
e di tutti i mosti il sapore,
ebbi le vendemmie spumanti
di tutti gli autunni feraci
nel cuore e le feste e i canti
l’urto dei piè danzanti il suono
dei flauti frigi e Lesbo
rossa di faci pel natale
del vino e l’onda corale
e il passo del lidio coturno.
O Vita, quando la mia bocca
Vergine di baci
Diedi al tuo grappolo notturno.